In questo sesto capitolo un piccolo colpo di scena porta Ciro a vedere il Signor Sotto Sotto sotto un'altra luce. Perché c'è sempre una verità da capire.
Buona lettura.
Enza Emira
6. L’azalea
Quel pomeriggio lo vide dalla finestra della sua camera.
Era seduto lì vestito di tutto punto con un piccolo bouquet tra le mani di fiorellini rosa. Aveva indossato anche un foulard alla gola, verde scuro, per cercare di coprire un po’ quei tubicini di plastica che gli segnavano il viso. I capelli erano lucidi come se ci avesse passato su più volte il gel.
Lo vide scattare all’improvviso in piedi e correre verso il portone. Ciro provò a sporgersi ma i decori del palazzo, stucchi bianchi che mettevano allegria all’austera facciata, gli impedivano di vedere bene. Proprio come le tende del portico di sua nonna che quando si alzava il vento ondeggiavano impedendo di vedere il mare in lontananza e allora bisognava spostare continuamente la testa per vedere un piccolo sprazzo di azzurro.
Comunque, dicevamo, il Signor Sotto Sotto aveva fermato una persona, una donna a giudicare dalla gonna gialla che gli sbuffi della metro che passava lì sotto faceva ondeggiare, e che appariva e svaniva dietro i riccioli bianchi degli stucchi del palazzo.
Ci fu una discussione, vivace a giudicare dai toni, e il bouquet volò per terra mentre il signor Sotto Sotto si allontanava di gran fretta, con la testa incassata nel bavero della sua giacca sdrucita che sapeva di naftalina.
Ciro d’istinto si precipitò per le scale. Giusto in tempo per intravedere la donna dalla gonna gialla che entrava nell’interno tre.
Corse allora fuori al portone. Il signor Sotto Sotto s’era già dileguato e, sull’asfalto tutto rabberciato, restavano solo i fiorellini rosa, per fortuna ancora intatti. A ben vedere non era un bouquet ma una piccola pianta fiorita, un’azalea per la precisione.
Ciro la prese e la portò al naso. Non profumava ma aveva un colore che gli ricordava i fiori di oleandro che si appoggiavano alle pareti della casa di sua nonna. Sospirò e pensò che fosse un peccato che rimanesse lì per terra ad avvizzire. Andò allora alla panchina, tirò fuori dal cespuglio innaffiatoio e paletta e ,messosi in ginocchio, incominciò a scavare.
I fiori sono sotto sotto un gesto gentile, pensò, il vecchio voleva di sicuro dire qualcosa di affettuoso a questa donna. Che fosse innamorato?
Rise, rise di gran gusto come non faceva più, da quando aveva visto nel lunotto posteriore la nonna che salutava sbracciandosi, farsi piccola e distante e le lacrime gli erano scivolate giù dalle palpebre per non andarsene più.
Tutte le notti ci piangeva su, ci piangeva ancora. E non c’erano regali che riuscissero davvero a consolarlo da quella separazione.
Rise, dicevamo, mentre pigiava la terra attorno alle radici. Doveva assolutamente scoprire chi fosse la donna dell’interno tre, perché era curioso e perché, come gli aveva insegnato il vecchio, sotto sotto c’è sempre una verità da capire.
Si alzò e andò a prendere l’acqua alla fontanella e, dopo aver dato da bere, si distese sulla panchina a fantasticare.
Una volta si era innamorato anche lui. Lei si chiamava Giada ed era nera nera di capelli e occhi. Le si era appiccicata alle costole dopo che aveva fatto a botte con Piero che mai voleva far giocare a pallone le femmine.
Giada aveva interpretato quel gesto di difesa come un riguardo personale, ma lui l’aveva fatto solo per una questione generale di giustizia.
Cosa difficile da spiegare ad una donna.
Così Giada gli aveva ronzato talmente attorno che Ciro, alla fine, un pomeriggio, le aveva preso la mano ed era stato come il guizzo di una scintilla.
“Levati da qui” gli strillò il vecchio spingendolo con il bastone “Questa è la mia panchina” continuò con tono duro. “Che poi non è altro che un mucchio di polvere tenuto insieme dal tempo” gli fece eco Ciro pensando a come si formano le rocce.
Il signor Sotto Sotto grugnì e lo spinse giù: “Lasciami in pace”.
Si sedette sulla pietra che ora era calda del calore che il ragazzo aveva lasciato e si strofinò il muso. Aveva due occhiaie che mostravano tutto il suo malumore.
Ciro provò ad aprire bocca ma fermò le parole in gola per via dello sguardo vuoto con il quale ora lo stava fissando, come se fosse trasparente. Si voltò e intravide con la coda dell’occhio la donna dalla gonna gialla che raggiungeva con passo affrettato l’angolo della strada.
Il Signor Sotto Sotto calò la testa lasciandola ciondolare esausto.
“Grazie comunque” gli disse con tono addolcito “Questo color rosa si sposa proprio bene con il verde della salvia”.
Ciro strinse le spalle e si avviò verso il portone pensando che, qualunque verità ci fosse sotto, doveva essere la più dolorosa che da qualche anno a questa parte investiva quel vecchio signore.
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